Carihuairazo 5018m

"La montagna della neve con vento macho": così è conosciuto in Ecuador il Carihuairazo, un vulcano estinto che si eleva fino a 5.018 metri nell'estremo sud-est della provincia del Tungurahua. Gode di meno fama del dirimpettaio Chimborazo (con i suoi 6.310 metri la vetta più alta dell'Ecuador), ma tra gli andinisti il Carihuairazo è una delle mete più ambite. Non soltanto per l'altitudine relativamente limitata, che consente un efficace acclimatamento in vista di cime più impegnative, ma soprattutto per il vento gelido e la neve ghiacciata che picchia sulle guance, e per quella cappa di bruma spessa come fumo che ne ammanta le falde fino a posarsi sull'umido páramo. Che il Carihuairazo sia la montagna del cattivo tempo è noto sin da prima dell'arrivo degli spagnoli, come ricorda il suo antico nome in quechua: kari huayra razu: la montagna della neve con vento macho.

La salita al Carihuairazo è un'ascensione tra le più appaganti dell'intero Viale dei Vulcani, come l'esploratore tedesco Alexander von Humboldt battezzò il tratto di cordigliera tra Quito e Cuenca sul quale s'affacciano trentotto vulcani.

Le quattro cime principali del Carihuairazo vanno dai 4698 metri della Piedra Negra ai 5018 della cumbre central. Da tutta la circonferenza del vulcano si aprono valli di origine glaciale, ingombre di morene e con il fondo di páramo umido. Sopra la valle, fin sulla cima del vulcano 800 metri più sopra, si ritirano mestamente tre lingue del ghiacciaio in estinzione. Il rio Mocha nasce nella valle di Abraspungo, la naturale via di comunicazione tra il Carihuairazo e il Chimborazo.

Da sempre sul Carihuairazo circola una leggenda con l'inevitabile fondo di verità: nel diciottesimo secolo il vulcano avrebbe competuto in altezza con il Chimborazo, fino a quando un gigantesco collasso della montagna lo avrebbe ridotto all'attuale altitudine. Nessuno invece dubita dell'unico, ma terribile, disastro causato dal vulcano. Correva l'anno 1698: un fortissimo terremoto provocò il distacco dei ghiacciai, che scivolarono lungo le valli fino a radere al suolo l'antica città di Ambato. Negli anni il fascino del Carihuairazo ha colpito molti andinisti ed esploratori di fama internazionale. Come il già citato Alexander von Humboldt, che ne fissò le forme in un disegno, a fianco del Chimborazo. Willhelm Reiss e Alphons Stübel, geografo e geologo tedeschi, produssero validi studi sulla montagna. Anche il noto esploratore inglese Edward Whymper si cimentò con la montagna della neve e del vento macho. Raggiunse la cima il 29 giugno del 1880 e con un barometro registrò un altitudine di 5.035 metri. Il maltempo accolse anche l'alpinista Hans Meyer e il pittore monacense Rudolf Reschreiter. Meyer descrive accuratamente le loro traversie ai piedi del vulcano, mentre di Reschreiter rimangono dipinti e disegni della vegetazione del páramo. L'ecuatoriano Arturo Eichler, il colombiano Horacio López Uribe e il francese Jean Morawiecki realizzarono la prima ascensione, documentata con fotografie, il 3 marzo del 1951.

Accesso: Rifugio Mechahuasca

Partenza: Rifugio Mechahuasca 4260m
Dislivello: +780m; Lunghezza: 12km (+8km in auto)
Difficoltà: PD+
Tempo di salita: 4h15'
Periodo consigliato: Tutto l'anno
Segnavia:
Cartografia:
Bibliografia: http://www.julioverne-travel.com/index.php/en/andes-highlands/climbing/carihuairazo
Punti di appoggio: Rifugio Mechahuasca 4260m
Note:

 

30-10-2016

 

Rifugio Mechahuasca 4260m - Carihuairazo 5018m

Salita=780m Discesa=780m L=12,3km

Sveglia alle 2,20, colazione e partenza alle 3. Riusciamo a stiparci tutti (8 persone più gli zaini), nel fuoristrada di Jaime. Ripercorriamo con attenzione e molto lentamente, i quasi 5 km di sterrata, segnata da profondi solchi, fino ad un parcheggio poco oltre il Passo di Carihuairazo, intorno ai 4400 m. Da qui ci incamminiamo con le frontali accese alle 4 in punto molto lentamente. Il freddo è pungente. Ci sembra di vagare a caso nel pàramo, ma ogni tanto si palesa qualche traccia, assolutamente irreperibile da chi non conosca la zona. Scavalcato un primo colle, contorniamo una piccola catena secondaria. All'alba 5,40 giungiamo su un secondo colle roccioso a 4600m, dal quale appaiono da un lato l'arcigno Carihuairazo e, alle nostre spalle, il Chimborazo illuminato dalla luce del primo sole. Proseguiamo su un sentiero, ora ben tracciato, lungo la morena. Con un largo giro, puntiamo al piccolo ghiacciaio che si inerpica sul versante ovest del picco centrale, dove a impensierirci c'è una breve strettoia, un imbuto privo di neve che interrompe una fascia rocciosa. Al di sopra la neve riprende, fino a lambire la paretina sommitale, sormontata da un curioso pinnacolo sottile e irregolare. Alla prima neve indossiamo l'imbrago e il casco, calziamo i ramponi e impugniamo le picche. Jaime e Willi nel frattempo sono andati su ad attrezzare il passaggio con le corde fisse. Lentamente li seguiamo verso l'imbuto roccioso, nel cuore della montagna, ancora in ombra. Lievemente distanziati giungiamo al "mauvais pas". Con una fettuccia e un moschettone ci agganciamo alla corda fissa e ci infiliamo nell'angusto passaggio, tra rocce dall'aspetto friabile, terriccio e residui di neve, il tutto tenuto insieme dal gelo. Qualche pietra smossa cade e ci rendiamo conto che, per quanto le pendenze non superino i 35-40°, il passaggio può risultare pericoloso. Superata l'infida strettoia, attraversiamo il successivo nevaio ancorati alla seconda corda. Usciamo a destra su roccette, ad una spalla nevosa, e ci accorgiamo di essere arrivati. L'ultimo stretto pendio glaciale conduce a tre piccole sommità quasi di pari altezza. La più ardita è difesa da un salto roccioso verticale di pochi metri, da cui pende sinistramente un anello di corda, ricoperto da un fragile strato di neve porosa appiccicata dal vento. Puntiamo alla più facile delle due gobbe nevose alla destra, sulla quale ci raccogliamo. Esce una bandiera della pace dalle tasche di Laura. Abbracci e foto. La visibilità è eccezionale, il panorama bellissimo. Sono le 8,15, siamo in perfetto orario e stiamo bene.

Discendiamo all'inverso sulle corde fisse, e questa volta nell'imbuto procediamo vicini onde minimizzare il rischio caduta pietre. Poi giù, rilassati. Lunga sosta al colle di quota 4600m. Unica pecca della discesa è che, al fondo, nel pàramos, le guide si distraggono e perdono la traccia seguita nella notte, così ci tocca fare un lungo giro, tra le sabbie mobili del muschio, le buche improvvise, i lunghi steli d'erba e i solchi scavati dall'acqua. Atterriamo sulla stradina, a più di un km dal luogo di partenza. Jaime si incarica di andare a recuperare l'auto. Alle 13 siamo a tavola, poi di corsa a rifare i bagagli visto che c'è già il pulmino di Mauricio per il trasferimento al residence Cuello de Luna, a metà strada tra l'omonimo vulcano e le due slanciate piramidi degli Ilinizas, prossima meta.

Foto

Traccia GPX

 

 

 


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